Ordinanza n. 523 del 1995

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ORDINANZA N. 523

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e dell'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per la finanza pubblica), convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanze emesse:

1) il 6 aprile 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia sezione distaccata di Lecce sul ricorso proposto da Coccioli Gianfranco ed altri contro il Ministero di grazia e giustizia ed altro, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1995;

2) il 10 marzo 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia sezione distaccata di Lecce sui ricorsi riuniti proposti da Aprile Ercole ed altri contro il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 261 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione di Mignone Elsa Valeria ed altri e di Maruccia Antonio ed altri nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 novembre 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli.

RITENUTO che nel corso del giudizio proposto da alcuni magistrati ordinari per l'accertamento di diritti patrimoniali ad essi spettanti, al fine di ottenere l'allineamento del loro trattamento economico a quello riconosciuto al collega Dott. Massimo Terzi nominato uditore giudiziario con d.m. 13 maggio 1981, transitato successivamente nei ruoli dei referendari dei Tribunali amministrativi regionali e riammesso nella magistratura ordinaria con d.P.R. del 18 luglio 1988 il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, con ordinanza del 6 aprile 1994 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, nonchè, in riferimento all'art. 107 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per la finanza pubblica), convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 (R.O. n. 260 del 1995);

che nell'ordinanza si afferma che i ricorrenti, fino all'entrata in vigore dell'art. 2 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, che ha disposto la soppressione delle norme su cui si fondava l'istituto dell'allineamento stipendiale, versavano in una situazione che dava loro diritto all'applicazione di tale istituto, ma che la posizione giuridica dei ricorrenti è risultata modificata a causa della successiva previsione dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge n. 384 del 1992 che vieta l'adozione di provvedimenti stipendiali, ancorchè aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992;

che il giudice remittente osserva che la Corte si è già pronunciata, con la sentenza n. 6 del 1994, sulla legittimità delle norme impugnate, ma che la particolare situazione riguardante i magistrati ricorrenti per i quali il Ministero della giustizia, nel mese di maggio 1992, aveva predisposto i relativi decreti poi restituiti dalla competente Ragioneria centrale dello Stato giustifica la riproposizione della questione di legittimità costituzionale;

che, in riferimento alla violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, il giudice remittente osserva che dopo l'entrata in vigore dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge n. 384 del 1992, si è determinata una disparità di trattamento tra coloro che hanno goduto degli effetti dell'allineamento e chi, pur avendo maturato tale diritto prima dell'11 luglio 1992, ne risulta escluso per ragioni fortuite e non giuridicamente apprezzabili, quali il mancato completamento del procedimento amministrativo preordinato a riconoscere il nuovo trattamento economico;

che, inoltre, nell'ordinanza si censurano le norme impugnate in riferimento all'art. 107, terzo comma, della Costituzione, osservando che le differenze di trattamento retributivo dei magistrati devono connettersi all'esercizio di differenti funzioni e che tali disparità non possono essere ammesse per altre ragioni;

che con analoghe argomentazioni, contenute in un'altra ordinanza del 10 marzo 1994 (R.O. n. 261 del 1995), lo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, la questione di costituzionalità dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e, in riferimento agli artt. 3, 36 e 107, dell'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonchè del medesimo art. 7, comma 7, del decreto-legge n. 384 del 1992;

che nei giudizi davanti alla Corte hanno spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate, e le parti private nei giudizi a quibus, che hanno depositato memorie nelle quali aderiscono alle argomentazioni delle ordinanze di rimessione.

CONSIDERATO che le ordinanze sopra richiamate sollevano, con analoghe argomentazioni, questioni concernenti le medesime norme, e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che questa Corte, con sentenza n. 6 del 1994 e con ordinanze nn. 105 e 394 del 1994, ha già di chiarato, rispettivamente, infondate e manifestamente infondate identiche questioni di legittimità costituzionale, ribadendo ripetutamente, con particolare riferimento all'art. 3 della Costituzione, che eventuali disparità tra coloro che hanno potuto godere del diritto all'allineamento stipendiale prima dell'entrata in vigore delle norme impugnate e coloro che come i ricorrenti nei giudizi a quibus pur trovandosi in posizione identica ai primi, non possono godere di tale vantaggio, non assumono rilievo costituzionale, dal momento che tale disparità "non potrebbe giustificare la sopravvivenza, sia pure limitata, di un istituto che si è voluto espungere radicalmente dall'ordinamento proprio in relazione alla sua intrinseca irrazionalità ed agli effetti sperequativi che andava determinando";

che nelle sue ordinanze di remissione il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, ha riproposto con argomentazioni analoghe a quelle già esaminate dalla Corte nelle decisioni richiamate la questione di costituzionalità dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge n. 384 del 1992, convertito dalla legge n. 438 del 1992, e dell'art. 2, comma 4, del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione;

che, in riferimento alla lamentata violazione da parte delle norme impugnate dell'art. 107, terzo comma, della Costituzione, secondo il quale i giudici si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni, questa Corte ha più volte chiarito che il precetto costituzionale invocato dal remittente "mira a precludere diversità per gradi gerarchici" tra i magistrati (v. ordinanza n. 275 del 1994, sentenza n. 310 del 1992) e ad evitare "qualsiasi tipo di arbitraria categorizzazione" nelle qualifiche dei magistrati medesimi, non sorretta da ragioni di ordine funzionale (v. sentenze nn. 133 del 1985 e 86 del 1982);

che, di conseguenza, il parametro di cui all'art. 107, terzo comma, della Costituzione risulta inconferente se richiamato in relazione alle norme impugnate nel presente giudizio, che, per le ragioni anzidette, si sono limitate ad eliminare dall'ordinamento l'istituto dell'allineamento stipendiale, senza incidere sulle qualifiche dei magistrati;

che, pertanto, le questioni sollevate vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e dell'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per la finanza pubblica), convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e 107 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.

Mauro FERRI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/12/95.